MARTINA MACCIANTI: ARTE, SUONO, QUEERNESS (1/2)

MARTINA MACCIANTI: ARTE, SUONO, QUEERNESS (1/2)

Una riflessione sulla trasformazione sociale attraverso la pratica artistica e l’ascolto.

«L’ascolto è un atto politico. O meglio, è una forma eco-politica di resistenza. […] La sua intrinseca forza eco-politica risiede nell’essere la sorgente della realizzazione – sulla basi di principi etici – di una società fondata su interazioni costruttive e collaborative, oltre ad avere un significato profondo di resistenza nei confronti delle strutture gerarchiche e dei sistemi di oppressione e manipolazione sensoriale. Un futuro migliore è un futuro più consapevole: l’ascolto è lo stadio intermedio che ne consente l’attuazione.»

Daniela Gentile, L’elettronica è donna 
(Claudia Attimonelli, Caterina Tomeo)


«I work in between the cracks.»

Meredith Monk

Una rilettura femminista degli eventi: da Ildegarda di Binden alle Tarantolate

Il concetto di queer/queerness ha un significato potente e basilare di diverso, non orizzontale, bizzarro, trasversale. Le pratiche artistiche queer sfidano le norme di genere e le aspettative sociali, creando spazi per l’esplorazione di identità fluide, relazioni non convenzionali e forme di resistenza politica. Un approccio queer rifiuta per definizione la comprensione unicamente binaria delle cose. L’arte e il suono diventano così veicoli di liberazione e affermazione, in cui le voci delle donne e delle comunità marginalizzate possono finalmente farsi sentire.
Ildegarda di Bingen è stata una monaca, mistica, compositrice, scrittrice, teologa e filosofa tedesca vissuta tra il XII e il XIII secolo. È stata una figura straordinaria nella storia, non solo per le sue abilità intellettuali ed artistiche, ma anche per il suo ruolo come donna in un’epoca in cui le donne erano relegate al ruolo di custodi del focolare. Fonda un monastero di sole donne, scrive delle sue visioni e fa eseguire musica cantata. Nonostante la sua posizione, scrive di ciclo mestruale, di piacere (con tutti i limiti dei tempi).
Oltre alle innovazioni tecniche e stilistiche che il suo fare ha portato nella musica sacra, Ildegarda ha scritto testi in lingua volgare, come il tedesco, invece del latino usato comunemente nella musica sacra, rendendo la sua musica più accessibile e comprensibile per il pubblico. Aprendo l’ascolto. L’influenza di Ildegarda sulla musica religiosa va oltre i suoi contributi stilistici. La sua musica è stata un’espressione della sua visione spirituale, che ha cercato di trasmettere attraverso la bellezza e l’armonia della sua musica. Il suo approccio alla composizione era legato alla spiritualità, utilizzando la musica come mezzo per entrare in contatto con il divino e per elevare l’anima umana, un mezzo per abilitare il cambiamento.

«Sia per la forma e la qualità degli strumenti, sia per il significato delle parole che li accompagnano, coloro che ascoltano potrebbero essere istruiti, come abbiamo detto sopra, sulle cose interiori.»**

Le donne sono state escluse per molto tempo in passato dai luoghi di sapere, ed è successo così che ogni volta che si sono avvicinate all’approccio creativo, alla conoscenza, lo hanno fatto in modo molto individuale e trasversale, assolutamente non-orizzontale, costruendosi da sole l’esperienza necessaria. L’approccio quasi bizzarro di Ildegarda al sapere, ad esempio, ha dato vita a espressioni artistiche traverse e queer che hanno sfidato le convenzioni ed ampliato gli orizzonti.
Provando a porci da una diversa prospettiva, osservando ciò che è stato in maniera nuova, possiamo rileggere innumerevoli eventi del passato, come, ad esempio, il legame tra le donne e il tamburo, uno strumento che ha radici profonde nella cultura popolare e nella spiritualità, rappresentando una connessione, un filo stretto, tra le donne e la divinità. Questo è sopravvissuto nel mondo popolare sulle sponde del Mediterraneo, che ne ha sempre trattenuto il carattere vitale e di guarigione: pensiamo al fenomeno del Tarantismo studiato in profondità da Ernesto De Martino.***
Il Tarantismo, fenomeno culturale e sociale radicato nelle tradizioni del Sud Italia, si basa sulla credenza che il morso della tarantola porti a uno stato di trance e possessione, curabile solo attraverso la danza estatica e il suono del tamburo. Questa pratica, per secoli considerata una manifestazione di isteria femminile, potrebbe in realtà nascondere una profonda rivoluzione culturale e un messaggio di emancipazione femminile, rileggendola con altre lenti, ed altre utopie.
E se questo fosse solo un esempio di come le donne abbiano trovato modi per esprimersi e ritrovarsi al di fuori delle istituzioni culturali dominanti soffocanti, in maniera non-ordinaria? E se attraverso il suono del tamburo e la danza estatica, le donne potessero attingere a un potere ancestrale e spirituale, sfidando le gerarchie sociali e le aspettative di genere? Una liberazione oltre il veleno del ragno.
In un contesto storico in cui le donne erano spesso relegate a ruoli subalterni e silenziate, il Tarantismo potrebbe essere stato un veicolo per l’emancipazione e l’affermazione della propria identità. La danza della taranta, con il suo ritmo ipnotico e frenetico, avrebbe così permesso alle donne di esprimere la propria individualità e di sfuggire, almeno temporaneamente, alla rigidità delle convenzioni sociali.
Attraverso il suono del tamburo e la danza selvaggia, le donne avrebbero potuto riconnettersi con un potere ancestrale e spirituale, sfidando le gerarchie sociali e le aspettative di genere. La taranta diventa così simbolo di una forza primordiale, capace di scuotere le basi stesse di una società patriarcale e oppressiva.
La trance indotta dalla danza non sarebbe dunque un sintomo di isteria o follia, ma piuttosto un modo per liberarsi dalle catene invisibili che imprigionano il corpo e l’anima. Una sorta di catarsi, in cui l’individuo può ritrovare se stesso e accedere a una dimensione altrimenti inaccessibile.

Ernesto De Martino, La terra del rimorso, Il Saggiatore, 1961

In un’ottica utopica e provocatoria, il Tarantismo può essere quindi qui reinterpretato come un fenomeno di emancipazione femminile, in cui la danza e il ritmo diventano strumenti di lotta e resistenza contro le oppressioni e le ingiustizie del mondo. Da isteria curata, a capacità di trovare vie alternative e creative per affermare la propria identità al di là delle barriere culturali e sociali.

«La musica ritmica sembra essere stata particolarmente importante nei riti associati alle antiche dee. Nelle culture più antiche, il ritmo veniva venerato come la forza strutturante della vita – al punto che lo storico William H. McNeill suggerisce che “imparare a muoversi e a usare la voce [ritmicamente], e il rafforzamento dei legami emozionali associati con questa modalità di comportamento, sono stati prerequisiti fondamentali per l’apparire dell’umanità” […] Il battito del tamburo a cornice delle sacerdotesse articolava questo processo di creazione, facendo nascere un legame tra il ritmo individuale e quello della comunità, dell’ambiente e del cosmo.» ****

Studi ed approfondimenti sul fenomeno del tarantismo non mancano, essendo stato nel tempo oggetto di studio di antropologi, etnomusicologi e storici. Quello che voglio proporre è una femminista e trasversale del fenomeno per comprenderne il suo potenziale significato ed il suo impatto sulle donne del contesto in cui si è sviluppato. In una società patriarcale che le relegava a ruoli subalterni e marginali, le donne avevano poche opportunità di esprimersi liberamente e di sfuggire ai ruoli tradizionali che erano loro imposti: la figura delle tarantolate può essere interpretata come un simbolo di resistenza femminile e di ribellione contro i vincoli sociali e culturali che le opprimevano.
Attraverso la danza e l’ascolto le tarantolate trovavano uno spazio ed un contesto in cui potevano esprimere la propria individualità, il proprio corpo, senza essere giudicate o condannate. Suono e movimento diventano medium per un atto di liberazione e di affermazione.

Fratture, possibilità politiche, realtà e ascolto

Il suono, l’immagine, diventano uno strumento per esplorare e comprendere la pluralità delle esperienze umane, e per mettere in luce possibili disuguaglianze ed asimmetrie che sottendono le narrazioni ufficiali della storia e della politica. Le possibilità politiche dell’arte^^ (intesa in ogni sua forma ed espressione) sono molteplici ed includono la creazione di nuove verità e di nuove articolazioni di senso, che sfidano le narrazioni dominanti e aprono spazi per la voce e l’espressione delle minoranze, dei corpi marginalizzati. Il suo potere di rivelare la complessità e la pluralità del mondo ci invita a riconoscere l’importanza della diversità e a lavorare per costruire ponti tra le differenze, piuttosto che erigere muri di separazione e disuguaglianza: ci mette in guardia dall’orientamento convenzionale che spesso ci porta a guardare il mondo in modo limitato e unidimensionale. Come scrive Salomé Voegelin nel suo saggio The political possibility of sound “mi preme definire il suono e l’ascolto come unità generative e innovative nello spazio del politico, al fine di sondarne il potenziale per un’esplorazione della politica e di sperimentare la loro capacità di immaginare e realizzare la sua trasformazione in una pluralità senza opposti.”
È una questione di linguaggio, di prospettiva: è necessario attuare un cambio percettivo verso ciò che vediamo, incontriamo, sentiamo, passando dal vedere monoliticamente diversità al vedere una tridimensionale creazione di possibilità plurali.
Nel corso della storia molte artiste hanno sperimentato nuove forme di espressione e creato opere che sfidano i confini tra arte e vita, maschile e femminile, sacro e profano. Penso subito ad avanguardiste come la compositrice Pauline Oliveros, che ha trovato modi innovativi per esplorare questioni di identità, sessualità e potere, creando un corpus di opere che continua a influenzare e ispirare le generazioni successive.
Pauline Oliveros ha lasciato un’impronta indelebile nella storia dell’arte sonora, grazie alla sua capacità di esplorare questioni complesse attraverso il suono, trovando modi innovativi per esplorare la relazione tra suono e identità, creando opere che invitano l’ascoltatore a riflettere sulla propria esperienza sonora e sulle sfumature della propria identità. Attraverso la sua pratica artistica, ha sfidato le norme e le convenzioni culturali che spesso limitano l’espressione delle donne e delle minoranze, aprendo spazi per la voce e l’espressione delle voci che spesso rimangono ignorate o rimosse dalla memoria collettiva. Ha fondato il Deep Listening Institute, un’organizzazione che promuove la pratica dell’ascolto profondo come strumento per la trasformazione sociale e culturale, e ha collaborato con numerosi artistə e musicistə per creare opere collettive e coinvolgere il pubblico nella pratica dell’ascolto attivo.
Perché queste prospettive sono importanti e abilitatrici di riflessioni utili alla lotta femminista? Perché la collaborazione interdisciplinare artistica è una pratica che può muoversi verso risultati sia artistici che sociali significativi: lavorare con persone provenienti da diversi campi di studio, diverse esperienze di vita, diversi posizionamenti sociali, può arricchire il processo creativo e offrire nuove prospettive sul mondo, sulla realtà per come la conosciamo. Porsi in una posizione di ascolto assoluto, attento.
Questo dobbiamo portarci nel fare femminismo, una capacità di ascolto profondo, di analisi ed introspezione, per comprendere/vedere/sentire oltre. ^^^

«Deep Listening is listening to everything all the time, and reminding yourself when you’re not. But going below the surface too, it’s an active process. It’s not passive. I mean hearing is passive in that soundwaves hinge upon the eardrum. You can do both. You can focus and be receptive to your surroundings. If you’re tuned out, then you’re not in contact with your surroundings. You have to process what you hear. Hearing and listening are not the same thing.» ^^^^

L’eredità che Pauline Oliveros ci lascia va oltre la sfera musicale, perché ha aperto nuovi orizzonti nel femminismo queer. Attraverso la creazione di forme visibili di espressione, ha fornito un modello per altre persone queer che potessero seguire le sue orme. Oliveros ha reso politico il personale e ha spinto i confini di ciò che significa essere una compositrice. Il suo lavoro rappresenta una significativa testimonianza dell’importanza della diversità e della pluralità di voci nella cultura e nella società, che dobbiamo ascoltare, comprendere e fare nostra. 
Le cose che dobbiamo riscoprire e che dobbiamo portare nelle nostre relazioni, anche e soprattutto nella lotta femminista, sono una profonda capacità di ascolto e di comprensione di esperienze anche lontane dalle nostre, dai nostri vissuti, e l’adozione di un approccio trasversale ed aperta al mondo, che arrivi dove una visione monolitica ed orizzontale non riuscirà mai ad arrivare. Le relazioni umane e sociali si costruiscono sulla capacità di incontro e di un ascolto che vada ben oltre il sentire. Dobbiamo imparare ad accogliere prospettive plurali, che spesso ci appaiono lontane ed egoisticamente incomprensibili, perché soltanto così potremo ampliare la nostra comprensione, costruire relazioni più profonde e rendere la lotta per i diritti più efficace e inclusiva. Un approccio rigido ed incapace di mettersi in ascolto del diverso non potrà mai condurci a destinazione.

Pauline Oliveros, the Fort Worden Cistern, 1988 (© Brooklyn College)

Fine? Un inizio

«SUONARE LA CITT à
SIGNIFICA
CHE UN GIORNO LONTANO
QUANDO VEDREMO UN UOMO
GIOCARE CON UN LUNGO BASTONE
ATTRAVERSO
UNA CANCELLATA
E LO SENTIREMO FARE CON GLI ELEMENTI PARALLELI
DELLA CANCELLATA
DELLE LINEE TRATTEGGIATE DI RUMORE
Pi ù
FITTE
O
MENO
FITTE
NON VEDREMO UN POLIZIOTTO
ARRESTARLO
PERCH é
DISTURBAVA L O R D I N E

ma passeremo senza badarci
e al bambino che ci chiederà qualcosa
risponderemo
vedi quello suona la cancellata
da grande lo saprai fare anche tu»”””

** Ildegarda di Binden in una lettera ai prelati di Magonza
*** Ernesto De Martino, La terra del rimorso, Il Saggiatore, 1961

****  Layne Redmond, Quando le donne suonavano i tamburi, Venexia, 2021
^^ Salomé Voegelin è un’artista e teorica del suono svizzera che ha sviluppato il concetto di “possibilità politica del suono”, un approccio che cerca di esplorare il potenziale politico e sociale del suono come medium artistico. The Political Possibility of Sound: Fragments of Listening, 2018, Bloomsbury Academic; Listening to Noise and Silence: Towards a Philosophy of Sound Art, 2010, Continuum International Publishing Group
^^^  The focus here is on Western feminism (what we know in the narrative as white feminism) that has left out this very pillar in its doing, deep listening, not including voices, excluding bodies from its moving forward.
^^^^  Pauline Oliveros, Deep Listening: A Composer’s Sound Practice, ‎ iUniverse, 2005
“””  Estratto da ‘Suonare la città’ (1969), Il metodo per suonare, Giuseppe Chiari, Martano editore, 1976

Martina Maccianti, classe 1992, vive a Firenze e scrive di femminismo passando per diverse e traverse direttrici. È la fondatrice di Fucina, spazio online che tratta temi quali sessualità, diritti, parità, ecologia, passando quando possibile per  arte e musica. Martina Maccianti è prima di ogni cosa femminista, e vede in un femminismo che è conscio delle diverse e plurali oppressioni che possono agire, l’unico punto di soluzione per una società che non da lo stesso spazio ad ogni persona.