MARTINA MACCIANTI: ARTE E (È) POLITICA

MARTINA MACCIANTI: ARTE E (È) POLITICA

English version

Demetrio Paparoni, critico e curatore, sostiene, in accordo all’artista Ai Weiwei, che “non esiste arte disimpegnata: esistono attivisti che fanno politica attraverso l’arte”; l’arte quindi, per loro, è sempre politica. Ma è così? Basta che l’arte esista per avere intrinsecamente un valore – ed un impatto – politico e sociale?

L’arte può essere politica, ma non lo è per natura, solo manifestandosi.

La politica dell’arte (o nell’arte), ad esempio, è fondamentale per rendere visibili le realtà che spesso rimangono al margine dell’attenzione della società in cui viviamo. Quello che l’arte ha, naturalmente, è il potere di creare spazi di riflessione e di sensibilizzazione, di mettere in luce le disuguaglianze e di sollecitare azioni concrete per il cambiamento sociale. In particolare, la politica dell’arte dovrebbe concentrarsi sulla valorizzazione delle potenzialità di mediazione e visibilità delle cosiddette marginalità, ovvero di quelle comunità e realtà che spesso vengono ignorate. 

L’emancipazione di questi margini è, infatti, essenziale per la costruzione di una società più giusta ed equa, dove tutte le persone hanno le stesse opportunità e diritti.

(1) Nadine Faraj; Joyce Yahouda Gallery, Montreal, presents “The Whole World Has Gone Joyously Mad”

Quando si parla, oggi, di arte e politica si parla di qualcosa che va oltre una semplicistica questione di orientamento politico, ma piuttosto di emancipazione politica. L’arte deve essere non solo un prodotto estetico o di intrattenimento, ma deve utilizzare il potere  che ha di affrontare questioni sociali e politiche, di sollecitare il dibattito pubblico e di creare, proporre, immaginare un cambiamento reale. La politica dell’arte può svolgere un ruolo cruciale in questo processo, aprendo nuovi spazi di espressione e partecipazione. L’atto artistico deve concentrarsi sulla valorizzazione del potenziale politico dell’arte stessa, sostenendo la produzione e la fruizione di opere che portano con sé temi sociali e politici rilevanti e, soprattutto, garantendo l’accesso all’arte a tutti, e la comprensione dell’arte da parte di tutti, in modo che possa essere un mezzo di espressione e di partecipazione democratica e diffusa.

L’arte può essere utilizzata come strumento di protesta e di critica sociale, per denunciare le ingiustizie. Per promuovere una cultura dell’uguaglianza e della libertà. Per proporre nuovi mondi. Per attivare nuove interazioni. Immaginare nuovi metodi.

(2) Jenny Holzer, ”Abuse of Power Comes As No Surprise and Moral Injury”, North Adams Massachusetts in January 2021, ph: sep120/Stockimo/Alamy

In questo processo è vitale sostenere l’accesso all’arte per tutti e tutte, senza discriminazioni di genere, classe sociale, etnia o orientamento sessuale, in modo da garantire che le voci dei margini siano ascoltate e che l’arte possa svolgere il suo ruolo di motore per il cambiamento sociale.

La pittura” diceva Pablo Picasso “non è fatta per decorare appartamenti.  È uno strumento di guerra offensiva e difensiva contro il nemico.”

Mi permetto di aggiungere alle parole di Picasso che l’Arte può e deve essere baluardo di cura e di collettività. Fonte di empatia e unione, di fronte ad un nemico astratto che ci vuole disuniti, ci vuole uniche singolarità.

“Ora l’arte comincia a fondersi con l’atto terapeutico 
della riattivazione della sensibilità.”

* Franco Bifo Berardi, 2012, ‘Perché gli artisti? MACAO è la risposta’, Sinistrainrete

(3) Lydia Ourahmane, The Third Choir (2014), Manifesta 12, Palermo

Credo che necessitiamo di un’arte che non si accontenti di essere mera decorazione o svago per l’estetica, ma che piuttosto si ponga come obiettivo quello di indagare e analizzare il contesto storico, politico e culturale in cui si trova. Solo così l’arte può diventare uno strumento per suscitare la rivoluzione, per far emergere nuove identità, nuove soggettività, che siano capaci di sfidare l’ordine costituito e di aprire nuovi orizzonti.

L’arte deve essere in grado di abilitare mondi e soggettività che altrimenti rimarrebbero inesplorate.

L’arte deve essere capace di dialogare con la realtà e di interrogarsi su di essa, non limitandosi a riprodurla in modo passivo. Solo così l’arte può diventare uno strumento di liberazione e cambiamento, capace di creare un nuovo tempo delle rivoluzioni.

L’artista ha il potere, tramite la transmedialità che ha a sua disposizione, di concretizzare un racconto, un immaginario che denunci e rappresenti la società, il periodo storico in cui si muove, la società dominante, e ne tragga un manifesto tangibile che diventi critica e proposta allo stesso tempo.

L’artista sovverta lo spazio che vive.
Immagini nuove realtà. Destrutturi quella esistente.
Si faccia, così, portatore di un nuovo che sia collettivo e diffuso.

1 Nadine Faraj  realizza dipinti ad acquerello pieni di crudezza, umorismo, tenerezza e infinita anima. Dipinge ritratti e figure sessualizzate attraverso vari gradi di astrazione, spesso tratti dal mondo della pornografia e dell’erotismo. Il suo stile fluido permette alle sue figure di emergere come esseri profondamente psicologici ed emotivi, con un senso pieno della loro umanità. C’è una frase che Nadine mi ha detto in una recente conversazione a distanza che creda raccolga tutte le parole condivise fino a qui: “l’arte è il campo in cui possiamo esplorare idee complicate; l’arte può aiutarci a metabolizzare realtà difficili […] la nostra società continua a compiere ogni giorno atti di dominazione e degrado, ma l’arte ha la capacità di portare ad un altro livello, più profondo.”

2 Jenny Holzer è una delle più famose artiste concettuali statunitensi, membro dell’ARS (Artists Rights Society) di New York, pioniera dell’uso del testo come mezzo artistico. La dichiarazione oggetto di questa opera “ABUSE OF POWER COMES AS NO SURPRISE” fa parte della serie Truisms di Holzer; negli ultimi anni questa serie di lavori è diventata più reattivi agli eventi mondiali e risuonano più che mai di significato politico.


Lydia Ourahmane è nata a Saïda, in Algeria, nel 1992. Vive a Londra e lavora nel Regno Unito e in Algeria. La sua arte attraversa nuovi media, video, performance, scultura e oggetti (ri)trovati, esplorando così forme transitorie di esistenza, resistenza, osservando composti di sorveglianza e strutture sociali/politiche. L’installazione The Third Choir è composta da venti barili vuoti di petrolio Naftal sul fondo dei quali – altrettanti cellulari, sono impostati sulla stessa frequenza FM, riproducendo i rumori di una monotona atmosfera industriale: questi oggetti nello spazio palesano domande sul loro significato per le strutture sociali e politiche all’interno dell’Algeria, sulle coalizioni di desiderio e sui disordini che portano al fenomeno dell’immigrazione clandestina. The Third Choir è assieme lotta all’asfissiante burocrazia algerina e materializzazione simbolica delle migrazioni.

Martina Maccianti, classe 1992, vive a Firenze e vede nell’arte un potente mezzo di rivolta, arma, catarsi, sfogo ed infine cura. Oltre al suo personale lavoro artistico porta avanti una profonda passione per il mondo dell’arte, che sia di visioni o di suoni. È la fondatrice di Fucina, spazio online che tratta temi quali sessualità, diritti, parità, ecologia, passando quando possibile per  arte e musica. Martina Maccianti è prima di ogni cosa femminista, e vede nel femminismo che è conscio delle diverse e plurali oppressioni che possono agire, l’unico punto di soluzione per una società che non da lo stesso spazio ad ogni persona.